studente delle scuole medie che legge un libro

Educazione all’affettività. No alla sessualizzazione dei bambini nelle scuole

Intervista alla Prof. Liliana

Siamo venuti a conoscenza della storia di Liliana e della sua esperienza all’interno di un istituto scolastico italiano in merito ad alcune attività extrascolastiche impartite ai suoi alunni da esperti esterni. Visto che racconti simili sono spesso provenuti da scuole di altri Paesi abbiamo colto l’occasione per intervistare Liliana e conoscere la sua storia.

Crystel: Liliana perché hai scelto di diventare insegnante?
Liliana: Prima lavoravo in azienda, avevo un buon posto ed ero anche pagata molto bene ma non mi piaceva più il fatto di essere tutto il giorno davanti al computer e spesso mi capitava di incontrare alcuni bambini che mi dicevano: «Potresti essere la nostra insegnante», «Che bello se fossi la mia maestra». Ho iniziato a inviare dei curricula e un giorno una scuola mi ha chiesto se volevo lasciare l’azienda per insegnare un anno da loro e da quel momento non sono più tornata indietro e per me è stata la scelta migliore che potessi fare.

Crystel: Insegni in una scuola media, come vengono gestite le attività extrascolastiche in generale?
Liliana: Posso dire che per quanto riguarda la scuola pubblica dipende molto dalle autorità, quindi dalla preside e dalla vicepreside: sono loro a decidere chi e cosa può avere ingresso a scuola.
Nello specifico mi riferisco a uno dei corsi che viene proposto ogni anno, quello sull’educazione all’affettività ed è un corso che anch’io ho fatto a suo tempo perché faceva parte delle attività svolte. Già all’epoca mi ricordo che per me era stato un po’ troppo pesante. Eravamo negli anni 2000 e a quell’età non sapevo neanche cosa fosse un preservativo; lo scoprii in effetti frequentando quel corso a scuola. Oggi tuttavia il contenuto di questo laboratorio è cambiato di molto.
Per esempio una delle cose che mi ha subito colpito è stata che l’insegnante di classe, durante queste ore che gli alunni trascorrono con alcune dottoresse di un consultorio, non può entrare. La professoressa di scienze, nel caso della nostra scuola, è stata allontanata, secondo loro, per tutelare la privacy dei bambini. Trovo che questa sia anche a livello legale una delega della supervisione dell’insegnante molto rischiosa, per non parlare del fatto che nemmeno la preside ha coscienza di quello che effettivamente viene detto e spiegato durante queste lezioni e quindi è impossibilitata a esercitare qualunque tipo di controllo su argomenti così importanti.

Crystel: Ci puoi raccontare che cosa hai scoperto dopo che gli allievi della tua classe hanno svolto la lezione di educazione all’affettività?
Liliana: Io insegno ai bambini di prima e terza media, che hanno un’età compresa fra i dodici e i quattordici anni.
Dopo quelle due ore di educazione all’affettività sono entrata in classe e ho trovato gli alunni decisamente sconvolti. Da quanto raccontato dai ragazzi le dottoresse si sono addentrate in temi come la descrizione del rapporto sessuale, la spiegazione di come arrivare al “punto G” e altri argomenti simili fino alle indicazioni su come indossare un preservativo. Alcune ragazze mi hanno confidato che per loro era stato troppo e una delle ragazzine mi ha detto: «Prof. non ho ancora dato il primo bacio, a cosa mi serve sapere tutti questi dettagli così tecnici?».
Anche loro avevano capito che era presto per affrontare questi temi. Un’altra alunna, sconvolta, mi ha confidato: «Non è che questi argomenti non li conoscessimo in via generale perché ormai la televisione in streaming (senza citare specificamente quale emittente) fa vedere scene spinte però alcune cose non le avevo capite del tutto e ora ho scoperto tutti i dettagli».
Confrontandomi poi con l’altra classe in cui insegno ho scoperto che avevano trattato il tema della pornografia. Argomento sicuramente importante da considerare ma confrontandomi con gli alunni ho percepito che la pornografia non era stata presentata in modo negativo, sottolineando per esempio i rischi di dipendenza e d’impotenza causati dall’utilizzo dei materiali pornografici. Non erano nemmeno state prese in esame le varie gravi problematiche che si nascondono dietro questo fenomeno (prostituzione e traffico umano per esempio).
È insomma evidente che l’“educatrice” del consultorio aveva presentato il tema della pornografia in modo superficiale senza discutere dei rischi e delle conseguenze di una delle piaghe della nuova generazione.
Citando inoltre le parole di un mio allievo: «Ci hanno insegnato come ci si masturba». Non ho avuto l’occasione d’approfondire per capire che cosa era stato insegnato e se i ragazzi fossero stati informati sulle conseguenze negative che tale abitudine può arrecare alla salute.
Qualche giorno dopo ho incontrato una ragazzina fuori dalla scuola e ho provato a parlare con lei di quella lezione per comprendere cosa ne pensasse e ho ricevuto questa risposta: «Prof., non ho ancora le mestruazioni, non ho mai avuto un ragazzo e non ho nemmeno mai dato un bacio a stampo perciò tante cose mi hanno scandalizzata».

Crystel: Sai se i genitori fossero stati informati della presenza di questo laboratorio e soprattutto dei contenuti che sarebbero stati trattati?
Liliana: Penso che i genitori siano stati informati che a scuola si sarebbe svolto questo progetto ma non credo sia stato spiegato loro il contenuto del corso anche perché ricordo che nemmeno la preside e noi insegnanti sapessimo nello specifico cosa insegnassero queste educatrici.

Crystel: Cosa consiglieresti a un preside di scuola in merito alla gestione di questi laboratori?
Liliana: Non ho parlato con la nostra preside ma mi sono ripromessa per il prossimo anno scolastico d’agire in modo preventivo, esprimendo il mio pensiero sulle reazioni riscontrate nei miei alunni al termine dell’educazione all’affettività.
Sono del parere che questo sia un campo riservato ai genitori. Secondo la Costituzione sono i genitori gli unici ad esercitare il potere/dovere educativo.
Su temi come l’aborto, la masturbazione o la pornografia è necessario che siano i genitori a dare le linee guida educative; non c’è bisogno d’essere cristiani per desiderare per esempio che i propri figli non diventino dipendenti dalla pornografia.
Non si può entrare nelle scuole imponendo ai ragazzi una specifica linea di comportamento da seguire e mi spiego meglio. Nel momento in cui un professionista esterno chiamato a tenere un’attività extrascolastica insegna la masturbazione sta anche offrendo una linea morale di comportamento e sta imponendo un certo tipo di credenze. Non lo ritengo corretto.
Infine credo che se una lezione di questo tipo porti anche un solo ragazzino a sentirsi scandalizzato bisognerebbe rivedere i contenuti dell’attività e modificarla in base all’età degli ascoltatori. I giovani oggi sono già esposti a tantissimi stimoli non positivi: perché provocare disagio e scalpore nelle menti dei ragazzi anche all’interno di una scuola?

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