Per ricordare, raccontare e non stare in silenzio!
Con la legge 211 del 20 luglio 2000, recante il titolo “Istituzione del ‘Giorno della Memoria’ in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti”: «[…] la Repubblica italiana – così recita il primo articolo – riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, “Giorno della Memoria”, al fine di ricordare la Shoah (lo sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati».
Nel secondo (e ultimo) articolo, infine, si stabilisce di organizzare: «Incontri e momenti comuni di narrazione dei fatti e di riflessione, in modo particolare nelle scuole di ogni ordine e grado, su quanto è accaduto al popolo ebraico e ai deportati militari e politici italiani nei campi nazisti in modo da conservare nel futuro dell’Italia la memoria di un tragico ed oscuro periodo della storia nel nostro Paese e in Europa, e affinché simili eventi non possano mai più accadere».
Proprio uno di quei militari italiani deportati e internati, mio nonno, è stata una delle principali fonti di memoria che è cresciuta con me sin da quando ero piccola e ha contribuito ad alimentare in me un profondo desiderio di conoscere e “abbracciare”, come per consolare, il popolo ebraico.
Casimiro, detto “Miro” da tutti, era il padre di mia madre. Dopo l’8 settembre del 1943 viene catturato nei Balcani, deportato in Germania e internato nei lager tedeschi, da cui farà ritorno a casa dopo circa ventitré mesi.
Sin da quando ero molto piccola mio nonno aveva l’abitudine di ricordare e raccontare le terribili vicende da lui vissute durante la guerra e, soprattutto, durante la prigionia. Con sguardo triste, ripeteva all’infinito brevi e decise frasi scandite, capaci di far vivere anche a me le sue esperienze. «Ne ho visti morire a migliaia, a migliaia…», diceva con tono sconsolato. E poi: «Portavano via i corpi con le ruspe e formavano delle montagne di cadaveri». Si riferiva a uomini, donne e bambini ebrei.
Se ancora oggi non è del tutto chiaro come sia stata messa in moto la macchina dello sterminio di circa sei milioni di ebrei, una cosa è certa: una volta avviato questo meccanismo si è alimentato del diffuso antisemitismo che in Europa, e non solo, aveva messo profonde radici. Tanto che alle iniziali leggi discriminatorie e razziali si sussegue la progressiva ghettizzazione degli ebrei tedeschi e polacchi e parallelamente vengono aperti campi di concentramento nei territori dell’Europa centro-orientale. Ma la vera strategia genocida viene pianificata e stabilita durante la Conferenza di Wannsee (20 gennaio 1942) quando i principali gerarchi nazisti programmano la soluzione finale della questione ebraica, in base alla quale tutti gli ebrei devono essere eliminati in appositi campi di sterminio. Gli esiti di quelle decisioni sono narrati in migliaia di libri, film e documentari.
Oggi non vogliamo ricordare solo perché una legge italiana lo ha stabilito; non vogliamo ricordare solo per trascorrere qualche ora provando sentimenti di compassione e di solidarietà.
Vogliamo ricordare perché la Shoah ha segnato in modo indelebile la storia di tutto il continente europeo. Dobbiamo ricordare per non restare più in silenzio (e per far sentire la nostra voce) di fronte ai sempre più numerosi e violenti rigurgiti di antisemitismo che stanno invadendo le nostre società, imbrattando i muri delle città e che stanno accendendo, diffondendosi attraverso i vari mezzi di comunicazione, fuochi di odio contro gli ebrei e contro lo Stato d’Israele.