Smartphone e Privacy

Siamo a cena tra amici e chiacchieriamo del più e del meno quando a un certo punto Anna riporta, con una punta di fastidio, che mentre stava attraversando una fase molto critica della sua vita a causa di un lutto erano improvvisamente iniziate a comparire sul suo telefono pubblicità inerenti l’industria del funerale. 

Nel giro di poco tempo raccolgo dai presenti numerose testimonianze su come lo smartphone sembri aver intercettato alcuni discorsi e su come attraverso dei procedimenti oscuri e nascosti le informazioni raccolte si siano tramutate in pubblicità.

È il tema privacy che torna a emergere, si tratta in sostanza di quanto si sia evoluta l’attività di tracking: la profilazione del cliente con la costruzione di un profilo utente. 

Per comprendere meglio a quale tipo di monitoraggio siamo costantemente e ininterrottamente sottoposti credo sia utile affidarci alle linee guida1 che l’Unione Europea ha stilato per la tutela delle persone in tema di trattamento dei dati.

La Commissione Europea definisce la profilazione come: «Qualsiasi forma di trattamento automatizzato di dati personali consistente nell’utilizzo di tali dati personali per valutare determinati aspetti personali relativi a una persona fisica, in particolare per analizzare o prevedere aspetti riguardanti il rendimento professionale, la situazione economica, la salute, le preferenze personali, gli interessi, l’affidabilità, il comportamento, l’ubicazione o gli spostamenti di detta persona fisica.

In generale, la profilazione consiste nella raccolta di informazioni su uno o più individui e nella valutazione delle caratteristiche o dei modelli di comportamento al fine di includere le persone in una determinata categoria o gruppo e in particolare per analizzare e/o fare previsioni, ad esempio, in merito a: 

• capacità di eseguire un compito; 

• interessi; 

• comportamento probabile».

Chiaro, no? 

Ogni volta che interagiamo con i motori di ricerca per reperire un’informazione, che postiamo le nostre attività nelle applicazioni social, che inseriamo parametri biometrici, che navighiamo tra le offerte dei siti di e-commerce o che compiliamo moduli, ogni volta che effettuiamo pagamenti con moneta digitale, che utilizziamo gli assistenti vocali dello smartphone, che diamo un comando vocale o se il GPS e la localizzazione del cellulare sono attivi, insomma per ogni operazione che utilizzi internet si generano dati che contengono informazioni specifiche sull’attività appena svolta: sono i famosi big data.

I big data vengono immagazzinati in database ed elaborati, valutati e venduti con molteplici obiettivi fra cui le attività di sviluppo di software e d’intelligenza artificiale, il miglioramento delle attività di  marketing, il tracciamento per scopi di guida assistita e di sorveglianza, il controllo dei flussi economici, l’identificazione e il tracciamento della sfera delle conoscenze, di hobby o di patologie… com’è facile comprendere l’elenco può continuare a oltranza perché le interazioni con internet sono infinite.

Spesso il processo di profilazione resta invisibile all’interessato ma ciò non toglie il fatto che migliaia di aziende pubbliche e private detengono informazioni anche molto private sulla nostra vita e non è assolutamente fantascienza creare un identikit di chi sta navigando assai più dettagliato di quanto si potrebbe mai fare a livello individuale. 

L’Unione Europea nelle linee guida redatte in merito alla profilazione dà importanza ai pericoli intrinseci contenuti nel processo decisionale automatizzato.

Si legge per esempio: «La profilazione può perpetuare stereotipi e la segregazione sociale. Può anche confinare una persona in una categoria specifica e limitarla alle preferenze suggerite per tale categoria. Ciò può minare la libertà delle persone di scegliere, ad esempio, determinati prodotti o servizi quali libri, musica o newsfeed. In taluni casi la profilazione può portare a previsioni imprecise, in altri al diniego di servizi e beni e a discriminazioni ingiustificate […].

La profilazione può essere iniqua e creare discriminazioni, ad esempio negando l’accesso a opportunità di lavoro, credito o assicurazione oppure offrendo prodotti finanziari eccessivamente rischiosi o costosi […].

La profilazione può comportare l’utilizzo di dati personali originariamente raccolti per una finalità diversa.

Per esempio, alcune applicazioni mobili forniscono servizi di localizzazione che consentono all’utente di individuare ristoranti nelle vicinanze che offrono sconti. Tuttavia i dati raccolti vengono utilizzati anche per creare un profilo dell’interessato per finalità di marketing, ossia per individuare le preferenze alimentari della persona o lo stile di vita. L’utente si aspetta che i suoi dati siano utilizzati per trovare ristoranti ma non si aspetta di esporsi in tal modo a ricevere pubblicità di pizzerie con consegna a domicilio dato che l’applicazione ha determinato che arriva a casa tardi».

Le finalità e i rischi sopra descritti sono da tenere in conto finché si resta nel perimetro della legalità ma non risultano purtroppo rari i casi in cui gruppi di hacker violano database e rubano, guarda caso, identità e profilazioni per rivenderli nel darkweb2.

Ora che siamo divenuti aware riguardo alle modalità, finalità e pericolosità della profilazione possiamo scegliere come rapportarci con internet. 

La legge ci aiuta obbligando l’operatore che raccoglie i dati a informarci e generalmente possiamo scegliere se accettare o meno i famosi cookies che ci accolgono al momento dell’accesso in internet; possiamo inoltre eliminarli quando chiudiamo il browser e cancellare il nostro nominativo dalla profilazione facendone richiesta.

In che modo possiamo limitare la profilazione

Possiamo coraggiosamente abbandonare Google e scoprire browser e motori di ricerca che prediligono la nostra privacy.

Facebook ha perso credibilità quando è scoppiato lo scandalo del caso Cambridge Analytica3 perciò cerchiamo di interagire con sempre maggior consapevolezza con i social valutando quali autorizzazioni decidiamo di concedere all’applicazione installata. 

Se per esempio utilizziamo un’applicazione che propone ricette di cucina perché dare accesso a microfono, videocamera, galleria fotografica, lista dei contatti o posizione?

Applicare queste accortezze potrebbe risultare noioso ma nega, ove possibile, il consenso al trattamento dei dati per finalità di marketing e profilazione. 

Un suggerimento ancora, un po’ più difficile da mettere in atto: disabilitiamo l’assistente vocale (SIRI, Assistente Google, Alexa, Bixby o Celia) perché i microfoni rimangono sempre attivi tanto che l’azienda fondata da Larry Page e Sergey Brin ha ammesso di aver ascoltato le conversazioni registrate dall’assistente di Google anche senza l’avvio di: «Ehi Google» da parte dell’utente4.

In conclusione, ecco perché Anna aveva ricevuto quelle pubblicità così precise.

Internet offre immense risorse, perché permettiamo che la nostra fame di sapere sia limitata o condizionata?

1 AA.VV., Processi decisionali automatizzati e profilazione, 29/03/2018, sito visitato nel mese di settembre 2022,
www.garanteprivacy.it/regolamentoue/profilazione.

2 Paolo Tarsitano, LinkedIn, 500 milioni di profili in vendita sul Dark Web: è allarme truffe, 9/04/2021, sito visitato nel mese di settembre 2022, 
www.cybersecurity360.it/nuove-minacce/linkedin-500-milioni-di-profili-in-vendita-sul-dark-web-e-allarme-truffe.

3 AA.VV., sito visitato nel mese di settembre 2022,
www.indiatoday.in/technology/news/story/google-tells-parliament-it-panel-that-its-emplyees-listen-to-some-okay-google-queries-1820975-2021-06-30.

4  Sara Della Piazza, Il caso Cambridge Analytica, 21/12/2021, sito visitato nel mese di settembre 2022,
www.dirittoconsenso.it/2021/12/21/il-caso-cambridge-analytica.

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