L’alba di una nuova specie
La rivista Forbes nel 2018 intitolò così un suo illuminante articolo: “Human 2.0 sta arrivando più velocemente di quanto pensi. Ti evolvi con i tempi?”.
Human 2.0 è un concetto caro al transumanesimo ma chi e cosa rappresenta esattamente questa parola da cui la società moderna trae linfa e ispirazione?
Per quanto sia difficile inquadrare esattamente il transumanesimo lo si può definire come un movimento culturale affermato e riconosciuto. Il termine appare per la prima volta nell’articolo “Transhumanism”, pubblicato nel 1957, del biologo e ricercatore Julian Huxley ma è grazie al filosofo Max More che questa definizione assume un senso più ampio. Quest’ultimo dichiarerà infatti che il genere umano può ricevere benefici fisici e fisiologici quali il miglioramento della salute, il potenziamento delle capacità intellettive, l’allungamento della vita e l’immortalità attraverso l’applicazione delle biotecnologie, della neurofarmacologia, delle scienze cognitive, della robotica, delle nanotecnologie e dell’intelligenza artificiale.
Le nuove tecnologie potrebbero insomma essere impiantate negli organismi viventi e questo secondo i promotori del movimento garantirebbe vantaggi quali il potenziamento delle capacità fisiche e intellettive, la potenziale guarigione dalle malattie, la possibilità di scansionare il cervello e di immagazzinare i ricordi e i dati in vari hard disk così da conservarli in eterno e renderli fruibili ovunque.
Sembra materiale per girare film di fantascienza e in effetti Hollywood da decenni anticipa questo futuro impostando, film dopo film, un vero e proprio mindset culturale (Trascendence è a mio avviso il top movie da vedere al riguardo).
Sarebbe tuttavia da ingenui confinare la spinta delle idee transumaniste al solo campo dell’arte dato che alcuni professori aderenti al movimento insegnano nelle più affermate università e le industrie investono ingenti capitali nello sviluppo.
Convegni su come l’IoT (l’Internet delle cose) debba penetrare nella società in modo da acquisire ogni tipo di dati, dibattiti sull’eticità dell’eugenetica e tavole rotonde per introdurre limiti da imporre alle intelligenze artificiali e ai robot si stanno diffondendo in modo rapidissimo. Allo stesso modo società come Neuralink, Starlink, BostonDynamics, IBM, Google, Intelligent Robotics Laboratory (solo per citare le più famose) fanno passi da gigante in ogni area tecnologica portandoci davvero vicini all’obiettivo Human 2.0 e ancora non è stato realmente sfruttato il potere dei calcolatori quantici!
È comprensibile essere affascinati dallo scenario di un mondo cibernetico governato da processori che controllano i “cyborg” eppure, senza scomodare i vari Orwell, Scott e Oz, non si deve scavare tanto per trovare alcune tracce tossiche che potrebbero avvelenare l’umanità se il motore che muove la ricerca si rivela essere in realtà la brama di potere e di raggiungere onnipresenza e onniscienza. In sostanza: il desiderio di sostituirsi a Dio (che da secoli accompagna l’umanità trascendendo confini e culture).
A ciò sembra aspirare la cultura transumanista.
Attenzione: non stiamo demonizzando lo sviluppo. Va benissimo essere aware in merito agli strumenti tecnologici utili e necessari, tuttavia è impossibile non notare che gli sforzi tecnologici, già realizzati o ancora in cantiere, promossi dalla cultura del transumanesimo si nutrono generalmente dello stesso spirito che animò gli abitanti di Babele: la spinta a sostituirsi a Dio. Ricordiamo che l’ambita perfezione resta una caratteristica divina che il transumano e la macchina, per quanto evoluti, non potranno mai raggiungere.
È possibile che Gesù parlasse anche degli eventi scatenati dal transumanesimo quando disse, in riferimento agli ultimi tempi: «In verità vi dico: “Non passerà questa generazione prima che tutto questo accada”» (Matteo 24:34).
Perché collegare questo passaggio al transumanesimo? La parola greca gheneà (generazione) presente nel versetto potrebbe anche costituire, secondo un’interpretazione non letterale, un riferimento alla fine della specie umana. Terminerebbe allora l’era dell’essere totalmente umano e avrebbe inizio quella della versione 2.0, quella dell’organismo “migliorato”, cyborg, che non è mai esistito prima.
Per concludere con quanto suggerì nel 1993 l’autore americano Vernor Vinge: «Entro trent’anni avremo i mezzi tecnologici per creare l’intelligenza superumana. Poco dopo, l’era umana sarà finita».
Attenzione alle lusinghe transumaniste: uno spropositato avanzamento in campo tecnologico senza una proporzionale crescita spirituale, etica e d’amore per il prossimo condurrà l’uomo, come già avvenuto in passato, a subire le conseguenze di un grave disequilibrio.